Shoah - Claude Lanzmann - Disc 4 [XviD Ita Ac3 Original Sub Ita Fra] [Tntvillage]


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Shoah - Claude Lanzmann - Disc 4
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SHOAH

di Claude Lanzmann

Parte 4 di 4

http://blogs.warwick.ac.uk/images/michaelwalford/2007/08/22/shoah_2.jpg


Shoah è un monumentale documentario sullo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Il film Shoah di Claude Lanzmann comparve sui nostri 39 teleschermi, precisamente su Rai Tre, intorno alla metà degli anni Ottanta. Del momento preciso non ho memoria, ma ho memoria di me stesso che sto sulla poltrona di casa e guardo quelle immagini, e non posso fare altro che guardare quelle immagini.
Dal primo momento in cui, avendone sentito parlare, mi sono deciso a vivere quell'esperienza, non ho potuto che viverla fino in fondo, nelle tre puntate, o quattro puntate, in cui fu diviso il lungo film di nove ore.
Fin dai primi minuti, ebbi la percezione di trovarmi davanti a qualcosa che non aveva precedenti e che non avrebbe avuto conseguenti se non mettendosi in sintonia con quel film.
Noi eravamo entrati in relazione con l'immagine della Shoah e l'immaginario della Shoah attraverso gli spaventosi documentari girati all'indomani della liberazione dai campi. Quella era stata la nostra esperienza visiva: cumuli di cadaveri, fotografie di internati atrocemente sottoposti a sperimentazione le più assurde, le immagini dei deportati sui treni o appena scesi dai treni in quella piattaforma di Auschwitz. E prima: il ghetto di Varsavia, l'Umschlagplatz, dove venivano raccolti coloro che sarebbero stati avviati alla deportazione, una massa dolente, disperata, sgomenta, smarrita, e poi ancora le immagini degli uomini usciti dai lager, i sopravvissuti, molti dei quali non sarebbero sopravvissuti a lungo, quelli scheletrici, ridotti a delle larve umane, quasi non in condizione di aprire la bocca, oppure che camminavano come fantasmi, già in una sorta di aldilà. Ecco, quelle erano e immagini. Oppure i film di fiction, quelli fatti dai registi, fatti dagli artisti, che con attori si sforzavano di narrare l'inenarrabile.
I documentari ci venivano contro, con tutta la, loro brutalità, con tutta la foro Inevitabilità, crudezza, ma era impossibile per noi elaborarli. Non potevamo che subirli. Non potevamo che rimanere privi di capacità di reazione di fronte a quelle immagini. I commenti, le reazioni, sarebbero stati più risposte all'impossibilità del confronto, che non reazioni a un confronto.
E così i film di fiction. Capivamo molto bene che era solo finzione. Non si pub pensare che la messa in scena dell'uccisione di un essere umano a cui viene sparato freddamente e sbrigativamente, alla nuca possa essere come vedere dal vivo, essere partecipi, testimoni, o essere in quell'inferno come destinati alla stessa cosa. E dunque i film di fiction sono solo film di fiction.
Io non credo neppure che ci si debba attardare ad approfondimenti critici, se non dire: questo è il contributo di un regista, di un uomo che vive in un'epoca, che ha questo evento inscritto oramai nel proprio Dna e che non può fare a meno di misurarsi con quell'evento. È solo il suo contributo, la sua risonanza personale. Il film di fiction non ha nessun valore oggettivo.
Shoah di Lanzmann è profondamente diverso. Per la prima volta, con Shoahdi Lanzmann, noi eravamo messi nella condizione di accedere a quel dolore. Noi, in quanto sopravvissuti. Perché ciascun ebreo, o ciascuno zingaro, o ciascuna categoria destinata all'estinzione a cui non è successo di essere cancellata è comunque un sopravvissuto. A noi sopravvissuti o ad altri che direttamente non avrebbero subito quell'evento, ma comunque per la loro condizione di esseri umani non potevano non venirne coinvolti, ma anche agli indifferenti, ma persino ai carnefici, quel film dava, per la prima volta, almeno l'opportunità di entrare in relazione. Come? Nell'unico modo in cui si può entrare in relazione con l'essere umano. Ascoltando il suo racconto, il suo racconto sulle proprie sofferenze, sul proprio vissuto. E quando si tratta di aver attraversato l'orrore dello sterminio, anche se si è sopravvissuti, quel racconto è ciò che noi possiamo avere, non per capire un enigma che non verrà probabilmente spiegato - perché alcuni uomini abbiano deciso di destinare loro simili alla cancellazione con tale brutalità -, ma per capire ciò che possiamo capire. Cioè l'essere umano, anche in quella situazione che fra tutte le condizioni estreme è la più estrema.
Che cosa ci dava la macchina da presa di Lanzmann?
Ci dava prima di tutto i volti, e i volti diventavano tutt'uno con la parola, diventavano della stessa sostanza; e non si può scorporare la responsabilità che abbiamo nei confronti della parola altrui dalla responsabilità che abbiamo nei confronti del suo volto. Il volto e la parola insieme ci danno il tu che sta di fronte a noi.
La macchina da presa di Lanzmann ci dava questo.
Le sue domande, che venivano percepite da chi testimoniava, e attivavano il volto della memoria di quella parola.
I luoghi, non più nella loro memoria bianca e nera di brutalità oppure in quelle rare memorie terrificanti a colori che abbiamo di quella brutalità. I luoghi come sono nella loro quiete, gli elementi che sono rimasti, oramai nella distanza dall'evento. Ma quelle testimonianze di fabbricati, quei prati sono luoghi contaminati dal dolore infinito e lo saranno per sempre. Non c'è modo di decontaminarli.
E i testimoni, che raccontano con disinvoltura ciò che videro. Non toccati dal dolore della sofferenza altrui. Oppure quelli toccati, che non possono trattenere il pianto. Un moto così spontaneo non solo in chi ha sofferto, ma in chi ha visto le sofferenze altrui.
Ecco, la macchina da presa di Lanzmann permetteva a tutti noi di stabilire una relazione con quel dolore senza perdere il senno. Perché i volti e le parole di quegli uomini raccontano l'essere umano come null'altro può fare.
Non c'è nulla di più forte del racconto delle proprie sofferenze fatto dall'essere umano, per capire quelle stesse sofferenze, per guardare il volto della Medusa senza rimanere pietrificati. Quella narrazione è una forma di pietas nei nostri confronti, di noi che non sappiamo, di noi che non ci siamo stati e di noi che non potremo mai capire. Eppure noi, che non potremo mai capire fino in fondo, attraverso quei racconti possiamo capire ciò che ci permette di camminare nel futuro, di poter andare nel futuro senza vergognarci. In quei racconti non c'è necessariamente la verità vera, c'è la verità di quegli uomini, ci sono i pudori, le ritrosie, le incapacità oppure il cinismo, l'indifferenza. L'uomo è presentato in tutte le sue gamme, e l'uomo noi lo vediamo proprio nelle condizioni estreme. Lì emerge la vera umanità, nel bene e nel male. Lì emerge l'infinita fragilità umana di fronte all'orrore, fragilità quando lo commetti, fragilità quando lo subisci, pur nella inomologabile differenza tra le vittime e i carnefici e anche tra le vittime e gli indifferenti. Gli indifferenti sono contigui ai carnefici. Le vittime sono i veri protagonisti di questo immenso dramma, non sono numerabili, sono veri esseri umani. Quella è l'umanità che dobbiamo cercare in noi.
Nel film di Lanzmann quell'umanità ci viene incontro, definitivamente.
Dopo aver visto Shoah di Claude Lanzmann, io non sono stato più l'uomo di prima, mai più.
Sono anch'io ebreo, appartengo a quegli ebrei che ebbero la fortuna di incontrare un popolo che volle salvarli. Per me fu Il popolo bulgaro, ma i miei genitori portarono la stella gialla e anche mio fratello, un po' più grande di me. Subirono quella violenza. Ma, oltre a essere ebreo, io mi occupo nel mio piccolo di narrazione e di spettacolo. Mi sono misurato con la Shoah, a volte solo con dei piccoli frammenti, per ritrosia, per incapacità di espanderli, a volte con uno spettacolo, anzi una sola volta con un vero spettacolo.
Uno spettacolo sulla Shoah intitolato Dybbuk, da un mito ebraico, =quella del morto di morte violenta e prematura che torna a possedere il vivo. E questa possessione come - diciamo - sopravvissuto, perché nato dopo, io ce l'ho. Ma quel film di Lanzmann è stato sempre per me, dal momento in cui l'ho visto, il paradigma con il quale misurarsi, il paradigma al quale ritornare per guardare in avanti. E per raccontare la Shoah con le imma', çon le immagini e le parole insieme, non si può che partire da Shaah di Lanzmann.
In seguito ho condiviso con testimoni, che furono nell'inferno della Shoah e sopravvissero, delle esperienze in scuole, in università. Li ho accompagnati, mi è stata data la grande opportunità, l'onore, di presentarli, di introdurre la loro esperienza, per quel tanto che il mio lavoro sulla cultura ebraica e sulla cultura ebraica della diaspora e dell'esilio mi permetteva di fare. Ecco, c'è una relazione diretta fra quell'esperienza con i testimoni che di nuovo riattraversano l'Acheronte del loro dolore, che di nuovo si calano in quell'inferno, e noi, a cui quelle testimonianze permettono di vivere in un mondo migliore, risparmiano l'abisso di quell'annientamento, e io, vicino a loro, sentendo molte volte quel racconto, che aveva la stessa cadenza, aveva gli stessi momenti di - tensione, quasi fosse una compulsione, e rinnovava implacabilmente la sua emozione.
Quei racconti diretti, con le persone vicine, sono nella stessa identica prospettiva etica, umana, e nella stessa prospettiva di verità che il film di Claude Lanzmann ci ha donato una volta per tutte.

Da Il Venerdì di Repubblica, 12 Ottobre 2007


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Dati tecnici del file
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[ Info sul file ]

Nome: Shoah - Claude Lanzmann - Disc 4.avi
Data: 16/10/2009 07:46:06
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[ Info generiche ]

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[ Dati rilevanti ]

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[ Traccia video ]

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[ Traccia audio n. 2 ]

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[ Info sulla codifica MPEG4 ]

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[ Analisi DRF ]

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Rapporto generato da AVInaptic (18-11-2007) in data 22 ott 2009, h 00:49:03

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